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Antigone, Giovanna D’Arco di Tebe

Ogni epoca storica ha i suoi problemi quanto è vero che ha le sue rivoluzioni. Le lancette del tempo ruotano inesorabili, ma gli uomini non cambiano con loro- e nemmeno le donne.

“Il sesso debole”, nel corso della storia, ha spesso trovato il suo punto di forza proprio nella fragilità che gli è sempre stata associata, ponendo la pietà e il sentimentalismo femminile al di sopra dell’ingiustizia razionale. Se la prima donna della storia viene punita per la sua curiosità (che si chiami Pandora oppure Eva), il suo ruolo nella tragedia greca diventa simbolo della massima espressività tragica. Euripide, in particolare, tratterà di personaggi femminili in molte delle sue tragedie, restituendo spessore alle figure spesso emarginate e considerate vane nel susseguirsi del tempo. E prima ancora di Euripide, c’era Sofocle con la sua Antigone, figlia di Edipo e costretta a scontare la colpa involontaria del padre.


La storia Antigone è la protagonista di una delle più celebri tragedie di Sofocle, che chiude la trilogia dedicata al mitico padre Edipo. È figlia del rapporto incestuoso del leggendario re di Tebe e la madre e moglie Giocasta, e non è unica; ha una sorella, Ismene, e due fratelli altrettanto celebri, Eteocle e Polinice. Tutti loro scontano le colpe involontarie del padre. Appare nel secondo capitolo della trilogia tragica, Edipo a Colono; è lei, infatti, ad accompagnare il padre cieco a Colono, dove morirà.


Anche i fatti successivi sono piuttosto noti: Eteocle e Polinice si accordano per governare Tebe a turno, ma scaduto il mandato del primo fratello questi si rifiuta di cedere il trono a Polinice, il quale invade Tebe con sei eroi (la spedizione dei Sette contro Tebe). Ma come era stato vaticinato, i due fratelli muoiono l’uno per mano dell’altro e il potere di Tebe viene assunto da Creonte, fratello di Giocasta.

Creonte considera Polinice un traditore e ne vieta la sepoltura. Che, se ci pensiamo, è un fatto umiliante anche nella cultura moderna; ma per la cultura antica era addirittura pericoloso.

Vi era infatti credenza che, per accedere nell’aldilà, i cadaveri dovessero venire seppelliti con tutti gli onori funebri; coloro che non ricevessero tale rituale erano costretti a vagare in eterno senza mai raggiungere l’Ade.

Ed è qui che Antigone entra in gioco.

Antigone ascolta l’editto del re, ne prende atto solo per affermare: non mi sta bene. Non si piega, non china il capo ad una legge che non considera giusta e di notte raggiunge il cadavere del fratello per ricoprirlo di sabbia, ergendosi simbolicamente contro l’abuso di potere di suo zio, mettendo un punto fermo nella storia di una legislazione che non le appartiene, gridando più forte di qualsiasi altro urlo.


Ma viene scoperta e arrestata, condannata a vita alla reclusione in una grotta.

Qui inizia la vera tragedia: gli dei si adirano e scatenano una pestilenza, Creonte capisce di aver sbagliato e vuole rimediare liberando sua nipote, ma ormai è troppo tardi. Antigone è morta, si è uccisa. Emone, suo fidanzato e figlio di Creonte, appresa la notizia si toglie la vita. Euridice, sua madre e moglie del re, fa la stessa cosa.

La tragedia di Sofocle finisce così: il re Creonte è solo, Antigone è eterna.


La femminilità storica di Antigone

“Non sono nata per condividere l’odio ma l’amore”, afferma Antigone, in contrasto con il re, simbolo della legge terrena e di una convenzionalità sociale e noi non del tutto estranea; derisa per la sua estrema sensibilità che l‘ha portata ad infrangere le leggi dello Stato, è chiara la contrapposizione tra affetti personali e volontà legislativa, giustizia divina e giustizia terrena. Per quanto lontana ci sembri la religione di allora, i suoi valori sono ancora radicati nella nostra cultura: chi lascerebbe il corpo di un caro giacere senza un funerale? Chi non cerca giustizia per le persone che ha amato?

Antigone è una donna, ma è anche la voce del popolo. “Pensano tutti come me, ma dinanzi a te tengono la bocca chiusa”: andrebbe scritto sui muri, recitato nei sermoni, cantato come coro nelle proteste studentesche. La rivoluzione nasce insieme al mondo, così come nasce chi sa parlare e chi ha troppa paura per farlo- come la sorella di Antigone, Ismene, spaventata in un primo momento e poi disposta a morire per pagare il suo senso di colpa. L’eroina antica- che poi è pure un po’ moderna- si ribella fino alla fine, scampando perfino alla Morte e consegnandosi ad essa prima che qualcun altro potesse farlo al suo posto. Con pugno deciso si toglie la vita, scampando a chi voleva giustiziarla solo perché aveva seguito un suo ideale.



La rivoluzione

La sua morte causerà una serie di suicidi, a catena. Ed è così che la rivoluzione non muore, ma resta scritta nelle pagine di una tragedia scritta molti secoli fa, ma che parla ancora di realtà. Un’opera che ha visto molta sabbia scorrere nelle clessidre, ma che ha mantenuto il suo messaggio.

E allora come può il greco essere una lingua morta, se racconta una storia che ci appartiene? Come fa a non interessarci Antigone, se potrebbe chiamarsi con i nomi di tante donne che hanno lottato per i loro diritti e non sono state ascoltate? Perché guardiamo alla cultura antica come il nostro passato, quando potrebbe porre le radici del nostro futuro?

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