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Arringa - il trauma religioso

Quando nasci in un paesino del sud Italia non hai troppa scelta. Forse la scelta non la hai mai, perché nessun bambino di pochi mesi è in grado di formulare una richiesta esplicita di battesimo - eppure, eccomi qui, a quasi vent’anni, dichiarata cattolica irreversibilmente a meno che non scelga l’apostasia. Che non cancella il battesimo, ma lo rinnega. Come le streghe nel Medioevo o i traditori che Dante metteva all’Inferno. Vorrei però partire dall’inizio.


Sono nata nel 2002 e battezzata lo stesso anno in un vestitino rosa. Ho frequentato l’Insegnamento della Religione Cattolica dapprima all’asilo e poi alle elementari; quando avevo sette anni, i miei genitori mi comprarono “La Piccola Bibbia” e la divorai. I miei nonni mi dicevano che le brave bambine andavano in chiesa. Io ero una brava bambina, quindi andavo in chiesa.


 

Io ti ho venerato

nelle ambiguità

intrecciate alle vene

di dita tremanti,

sbagliate,

che muovevano i suoni

della colomba sacra

in porte dai colori

accesi, vivaci,

ma tu non ami

i colori


 

Mi iscrissi al catechismo quando avevo otto anni. Ero così presa dalla mia religione che chiesi al prete di anticiparmi di un anno, ma mi rispose di no, perché ero piccola e non avrei capito. Vidi quello stesso prete, durante una messa, cacciare dei bambini dalla chiesa perché piangevano. Ero un po’ confusa, perché io andavo al catechismo e sapevo che Gesù aveva detto “lasciate che i bambini vengano a me”. Forse quel prete non aveva fatto il catechismo, pensai. Mi sembrava la soluzione più logica.



Ho avuto paura di ridere

nelle tue dimore

come se i denti mostrassero

gli affanni che tu

m’avevi giudicato


 

Una volta rimproverai un amico perché aveva riso. In chiesa non si ride, gli dicevo, si fanno solo cose serie. La mia comunione si avvicinava, e io mi preparavo al meglio: pregavo tutti i giorni, facevo i segni della croce davanti tutte le chiese, avevo preparato l’elenco dei miei pericolosi e tremendi peccati da raccontare a quel prete che in fondo nemmeno mi era simpatico, però d’altronde era giusto così. Ripetevo molte volte le stesse cose.


La mia comunione sarà molto semplice: è un incontro con Cristo, non una festa di paese.


Vorrei che non ci fossero bomboniere particolari, perché a Dio il lusso non piace.


Dicevo altre cose inquietanti che avevo sentito al catechismo e nell’ora di religione cattolica.


Io capisco i gay perché ognuno fa quel che vuole, ma se la natura non vuole che facciano figli perché dovrebbero?


Ma se Dio ha creato Adamo ed Eva perché insistere?


Se ci sono scene di nudo questo film non lo voglio guardare. Vedrò un uomo nudo solo la notte del mio matrimonio, deve essere una sorpresa.



 

Ho smesso di ridere

nell’austera venerazione

inchiodata alla Muse

blasfeme

gridando nei versi

mai giunti su carta


 

Nel 2015 si parlava di unioni civili e io facevo le medie. Seguivo ancora l’IRC e perfino l’Associazione Cattolica.

Però qualcosa in me non andava.

Nel 2016 incontrai una ragazza e con lei non ci fu nulla, se non qualche istante di doccia fredda. Se non qualche pianto in camera, sotto le coperte, sul cuscino. La mia professoressa di religione criticava le unioni civili; io ero una brava ragazzina e la ascoltavo. Avrei preferito sopprimere me e non lei.


che t’eri lasciato un peccato,

dietro, alle spalle,

non ci avevi liberato per sempre

dai mali


uno ancora cresceva

e si nutriva

della mia stessa linfa

bramante di ogni peccato

che m’aveva fatto

ridere

infelice assassino

dei sorrisi

delle mie Muse


 

Ovviamente, quando ci si sopprime si esce fuori in altri modi. E non starò qui a raccontare come io sono uscita fuori, perché ogni volta mi convincevo a tornare dentro, mi rintanavo ancora con il rosario e l’immagine della Madonna e passavo da uno psicologo a uno psichiatra… Ma non è questo che voglio raccontare.


Perché nel frattempo iniziavo il liceo e capivo una cosa: non ero sbagliata io, ma il mondo che mi circondava.

La gente mi voleva bene.

E, forse, anche Dio.


 

Oggi mi ritrovo seduta a questo tribunale, e ne approfitto, sebbene non sia questo il processo, per rispondere all’imputazione più grande che mi ci si possa rivolgere - che io non credo. No, io credo, eccome se credo.

Solo perché non credo in ciò che credete voi - non significa che io non creda.


Credo nelle persone, nell’amore, nella bellezza, nella pace, nella cultura, credo nel nostro mondo e credo che ci sia ancora una qualche speranza di salvarlo.


Ma è in voi che non credo. Nei vostri formalismi, nelle tradizioni portate avanti per non offendere i tuoi nonni, nella zia che insiste “ma quando farai la cresima?” perché si sa, l’agnosticismo è d’altronde solo una fase; non credo nei rimproveri che fate perché mangio carne il venerdì santo mentre voi tradite le vostre mogli, non credo nei vostri peccati che in qualche modo son sempre meno gravi dei miei, non credo nel prete che caccia i bambini e che forse davvero non ha fatto il catechismo. Non credo in una società che deve essere cattolica per forza, perché altrimenti nel paese si parla male di te e della tua famiglia e di chi ti ha cresciuto.


E in Dio, invece? Ci credo?

Non lo so. Ma ha davvero così tanta importanza?


 

Io tI ho difeso

ai tribunali della scienza

sperando che la mia avvocatura

non gelasse mai

le mie vene


ma ne ero condannata

senza aver fatto nulla

e ora guardami seduta

agli stessi tribunali


come testimone d’accusa

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