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Immagine del redattoreIrene Mascia

Cara Vesuviana...

“Villa Augustea”

Cara circumvesuviana,

Stamattina ho fatto un giro per le strade del paese alla ricerca di un’ispirazione natalizia, come faccio ogni anno. Alla ricerca di un tema per una lettera a Babbo Natale che fosse un po’ poetica, un po’ dolce.

Chiaro, il mio paese è un po’ piccolo, e anche io lo sono: ho 16 anni, qualche mese e molte storie da raccontare. Però, di questi tempi, il centro si anima di musica, canti, gruppi male assortiti di Babbo Natale con barbe sbiadite e cappelli sfilacciati che sfilano fuori il teatro cittadino- insomma, non proprio il massimo, ma quanto basta a risollevare il morale dei bambini. Giustamente ti starai chiedendo: potresti scrivere a loro, allora perché scrivi a me?

Certo, ora ci arrivo.

Tra tutte le ragazze che salgono sui tuoi vagoni probabilmente sono tra le più fidate, una di quelle che ti conosceva da quando la mia nobile Villa Augustea aveva l’onesto nome di “Mercato Vecchio”; una di quelle che conosce a memoria i tuoi itinerari, che con un biglietto da un euro e trenta ha fatto Somma-Sorrento e ha cantato Despacito almeno dieci volte con nove cantanti diversi; sono stata presente ad ogni sciopero, ogni soppressione, ogni volta che, dopo venti minuti di ritardo, sceglievi di arrivare proprio quando, dalla frustrazione, accendevo una sigaretta. Ho cambiato treno tre volte in un’ora, ho aspettato a Porta Nolana che il treno delle 18,04 per Sarno partisse, anche dopo il rintocco delle ore 20. Le tue inefficienze sono diventate le storie più divertenti della mia quotidianità, come ad esempio quando il tuo display mi proiettava nel futuro, o la voce che riecheggiava nei corridoi informava di essere arrivati a Baiano quando il treno era fermo a Rione Trieste. A volte mi hai fatto ridere così tanto che ho quasi dimenticato di aver paura di prendere il treno.

Nessuna storia strappalacrime, d’altronde non voglio appesantirti durante il giorno di Natale, quando i tuoi posti sono pieni di gente che torna da lavoro con la felicità negli occhi di trascorrere finalmente una serata con la famiglia al completo e ragazzi tutti messi in tiro per aperitivi natalizi dell’ultimo minuto. No. Ma quando parlo di te, non posso non parlare di quel gruppo di ragazzi che, non molti mesi fa, salito sul treno, iniziò ad importunare prima un’altra ragazza, poi me- prima con le parole, e poi, italianizzando il napoletano, “gettando le mani”. Ogni volta che ricordo di dover prendere la vesuviana, non riesco a non pensare che anche al ritorno dovrò salire sul treno, e che sarà buio, e che potrei vederli di nuovo. O potrei incontrare quell’anziano signore del treno delle 15,34, quello che prendo per gli allenamenti di calcetto che, tanto gentile, spreca sempre complimenti non richiesti nei miei confronti. Quando qualcuno ride e dice “non ci sono controlli sulla vesuviana, senza biglietto vai dove vuoi”, rido anch’io, ma poi con amarezza penso a quei volti che nemmeno ho visto, e al volto inerme di nessun anonimo controllore intervenuto, nessun passeggero, niente di niente.

Da quando successe tutta questa storia non mi sono fermata un attimo. Ho provato a denunciare, ma questa è una storia che non vuoi sentire, perché oggi è il giorno di Natale. No, e di queste cose non si parla mai, figurati quando tutti sono in festa. Questa pagina, forse, chiede un’altra letterina, una letterina che nessuno ha davvero voglia di leggere. Pazienza. Ormai ci sono abituata.

Fatto sta che io a Babbo Natale volevo chiedere questo, che portasse un po’ di serenità in questo mondo, che scacciasse via la cattiveria- un po’ come gli chiedeva una me più piccola, quando la sua stazione si chiamava ancora come la via in cui abitava. Però il Babbo Natale del teatro cittadino mi ha guardato un po’ male quando gliel’ho detto, mi ha risposto “io non vengo dalla Lapponia, vengo da Madonna dell’Arco e prendo la Vesuviana”.

E quindi niente, è per questo che ho scritto a te. O meglio, gli ho chiesto di riferirti il mio messaggio, sperando che possa, effettivamente, servire a qualcosa. O a qualcuno, a qualcuna, a chiunque.

Spero non ti giunga in ritardo.

Anche se, si sa, ad affidarsi a te, si rischia di sforare di ore, giorni, mesi… forse addirittura anni?

25 dicembre 2018

Un’anonima viaggiatrice


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