TRIGGER WARNING: depressione, salute mentale.
La droga del panico
"Perché tremi, anima mia?"
"Sono stanca di soffrire."
Questo dialogo interiore era colonna sonora delle mie notti tormentate e logoranti.
I miei occhi sbarrati guardavano il soffitto, una finestra bianca sull'oscurità dei miei pensieri.
Dolori trafiggevano, come lame, il mio petto.
Il mio respiro affannoso in un corpo senza riposo e senza sonno.
Vacillavo inerme da una stanza all'altra alla ricerca di pace,
tra le braccia di una madre ormai rassegnata e impotente di fronte a quella sofferenza irrisolvibile, tra le mie braccia che cingevano le spalle cercando di proteggersi.
Nulla sembrava darmi calore e riparo.
Cadevo sola e stanca nel baratro del mio inferno. La droga del panico era più potente di quelle sintetiche e provocava un'assuefazione tale tanto da sembrare in punto di morte sempre.
E tra uno stato confusionale e l'altro, mi ritrovavo accecata da un neon d'ospedale e con lo stetoscopio freddo sul cuore.
Le gocce verdi sembravano farmi cadere nel sonno che mi mancava ma in realtà era uno stato soporifero, un riposo forzato, non naturale, privo di senso.
E il giorno dopo ricominciava tutto il ciclo d'abitudini insensate messo in questo loop senza fine, in un tunnel senza luce.
"Perché ti sei ridotta così?"
"Perché tutto mi va male. Non va bene nè a scuola, nè in amore"
La mia testa mi suggeriva un cambiamento e io lo scacciavo perché non riuscivo a metterlo in atto.
E fu così che nel mese di settembre mi ritrovai sola, abbandonata da tutto e tutti.
L'unico amico rimasto era l'elenco di psicofarmaci del dottore dai baffi bianchi, tutto d'un pezzo e curatore dei nervi.
Mi ritrovavo a potermi nutrire solo con l'ausilio di un ansiolitico e di un digestivo perché avevo la gola spappolata dall'ennesima bravata.
Una sera come un'altra ho bevuto all'impazzata.
Per velare i problemi, per ovattare la testa e la bocca.
E mi ritrovai così in preda al sangue di vene recise, curate da altre medicine.
La sera mi ritrovavo, gonfia come un pallone, a letto in balia di altre gocce dal colore strano. Blu, per la precisione.
E trascosi un periodo lungo in casa accompagnata dagli egregi signori Prozac e Prazene.
La dose di felicità e serotonina a portata di siringa e il toccasana per il sonno.
Continuammo questa corrispondenza d'amorosi sensi per sette lunghi mesi e poi ci lasciammo fortunatamente.
Non avevamo più bisogno l'uno dell'altra.
Avevo imparato ad apprezzare sia i tramonti che le albe della mia vita. E, pian piano, avevo capito che tutto ciò che ritenevo estremamente importante non lo era per niente. Timidamente, mi sono preparata a questa vita e, ora come ora, mi sembra di esserci riuscita.
-
Anna D'Auria
La depressione è l’amica con cui, un giorno, dal nulla, ti ritrovi a giocare. Quella che insiste nel farti fare la conta, si nasconde dietro gli abissi della tua esistenza, e poi finisce per scappare, correre più veloce, urlare tana, salvi tutti, ma poi in realtà è salva solo lei.
La depressione è l’amica che non si lascia raccontare. Ogni volta che la incontri è un po’ diversa, ha una nuova storia, un nuovo punto di partenza, un arrivo mai incontrato. Potrebbe essere la miglior fonte di parole, ma sceglie di patirne il risucchio. È tutto e niente allo stesso tempo.
Anna si chiama Anna, ma potrebbe chiamarsi Michela, o Giovanna. Perfino Irene. E queste sono le parole che è riuscita a rubare all’abisso, dimostrando, forse senza saperlo, di aver vinto.
Ode alla distruzione
(a me stessa, per una volta)
Presuntuosa
Non sei stata tu
A schiacciarmi
A tradirmi
A deludermi
Non prenderti il merito
Di avermi prosciugata
Non sei madre
Del vuoto che mi mangia
Dentro
Di cui non avverto
Il dolore dei morsi
La tristezza della mia fine
Non hai preso il mio corpo
Rendendomi fantasma meccanico
Pensiero volatile
Poggiato nei meandri del tuo spirito
Sono stata io a farlo
Io, che a te ho dedicato
Ogni mio pensiero
Fino a rimanerne priva
Io, che forse credevo
Di poter distendere
Ogni mia emozione su di te
Fino a che non le hai prese tutte
E te ne sei andata
Ma non mi hai ancora
Del tutto, e te lo dimostrano
Le lacrime che sgorgano
Insieme a queste parole
Perché all’unico pezzo che mi hai lasciato,
Come premio di consolazione
Per essere arrivata seconda dopo te
Nella corsa al più folle sciocco,
Mancano le altre tessere del puzzle
Quasi quanto colei che le tiene nei vestiti
Irene Mascia
Perché non sempre le storie d’amore con se stesse finiscono bene, ma non per questo significa che siano destinate a non durare.
E non importa quanta strada si percorre insieme, prima o poi lei se ne va.
“Quando hai una meta, anche il deserto diventa strada.”
(Proverbio tibetano)
E. P.
”Non può piovere in eterno”.
A. S.
”Adda’ passa’ a nuttat’.”
”Tu sei molto più di ciò che gli altri vogliono farti credere tu sia.”
”Hai superato tanti ostacoli, puoi farcela ancora.”
A. C.
“A volte rifletto su quanto siamo fortunati a vivere su questo bel pianeta: ci offre di tutto essendo suoi figli. Per la motivazione, ricordo il sorriso di una persona che ha affrontato difficoltà enormi, ma sempre sorridendo e non lasciandosi incrinare.”
F. M.
“Non demoralizziamoci per il semplice fatto che non sappiamo come andrà il futuro, anche perché se non vivi il presente, il futuro non lo scoprirai mai.”
C. V.
“Cerco sempre di attaccarmi alle piccole cose della vita quando penso sia troppo difficile sostenerla.“
V. O.
“Così tanti giorni al buio, ho iniziato a vedere al buio.
Ho combattuto la mia strada per tornare alla luce, il mio spirito è sempre stato troppo forte per arrendersi.
MAI MOLLARE !”
A. B.
Cara Anna, cara Michela, Giovanna o qualsiasi modo vorrai che ti chiami. La strada è lunga e forse ora non sembra aver senso continuare. Ma al suo termine tutto ti sarà chiaro. Al suo termine vedrai le stelle e le luci e ti sembrerà di vedere i colori per la prima volta. Ricordati, fallo sempre: non smettere mai di rubare alla tua vita quelle piccole cose che ti hanno resa felice. Non smettere mai di scrivere.
Finché c’è poesia, c’è speranza.
Oltre la ringhiera a far capolino
C’è una sorta di trampolino
A quanto pare però lo vedo solo io
Basta soltanto fare un grande salto
E negli istanti dopo
Quello che è solo cemento
Diventa un cassonetto
Con resti e scarti
Di tutto ciò che ero io per gli altri
Mi domando se di resistere valga la pena
Mi guardo e per me esistere è ormai una pena
Allora occhi al cielo, mi faccio un segno di croce
Apro le braccia e mi tuffo urlando senza voce
Per cercare di uscire di scena senza far rumore
Per andare via senza lasciare altro dolore
Scendo in picchiata nel vuoto
Alla mia vita dovrei dare un voto
Credo che il numero più azzeccato
Sia un bel zero spaccato
Spaccato come me tra poco sull’asfalto
E rivedo tutta la mia vita in pochi istanti
Come una vecchia cassetta mandata in avanti
Che per l’alta velocità va a scatti
E ripenso a tutto
Ai sogni malriposti nei cassetti
Alle attese rivelati infiniti momenti
Alle speranze malriposte negli affetti
Ai programmi rivelati fallimenti
Tutta la mia vita è racchiusa qui
In un salto nel vuoto
E poi solo il vuoto
E ora solo
E tra poco
Morto
Non voglio puntare il dito anzi chiedo perdono
Dopotutto non saprei nemmeno a chi di loro
È solo che più vedo avvicinarmi al suolo
Più non vorrei mai aver spiccato questo volo
Inizio a muovere le braccia come fossero ali
A piangere e ad urlare che qualcuno mi salvi
Sgrano gli occhi e sono ancora sul trampolino, al bordo
C’è qualcuno con me che ha deciso di non lasciarmi solo
Che con tutta la sua forza mi sta tenendo per il collo
Se la vita sia bella non lo so, ma c’è chi vale oro
Devo resistere, se non per me devo farlo almeno per loro
(poesia dal web, firmata Francesco Grottola)
Ultima poesia d’amore
Grazie per aver provato
A portare via tutti i pezzi
Di me
Le righe bianche sorreggono
parole che non mi tengo più
dentro
I miei polsi raccontano storie
Di libri che nessun altro polso
Riuscirebbe mai a reggere
Carezzo la pelle e tiro
Un sospiro di sollievo
Non sei riuscita a portarmi via
Neppure quella
Irene Mascia
“La droga del panico” interpretato dall’autrice.
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