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La Sorgente della Morte e l’invito alla vita

«Non doveva finire così. Non ero io a dover cadere» commentò.

La morte lo avvolse con un braccio. «Non preoccuparti. Tutti, prima o poi, ti raggiungeranno».




A metà tra l’horror e la narrativa filosofica, con le note vibranti del gusto thriller, La Sorgente della Morte, edito Dragonfly Edizioni, è un romanzo devastante, diviso in racconti che lasciano senza fiato.

Il filo conduttore delle cinque storie è una fontana, una sorgente d’acqua, simbolo scelto perché universalmente riconosciuto come metafora di vita (come la stessa “sorgente” del titolo); una fonte che, però, causa la morte in chi si avvicina.


Una morte insolita, maledetta, inevitabile, per la quale qualsiasi personaggio finisce a trovarsi sul proprio ciglio, con una condanna inequivocabile sul capo; e non importa se qualcuno riesce a sfuggirvi o addirittura a vincerla per un po’, la Morte, rappresentata nei modi più svariati, sa che prima o poi riuscirà ad averlo tra le sue braccia.



L’autrice.


L’intuizione della scrittrice, Irma Ciciriello, è inquietantemente geniale: la cura dei dettagli e l’ottimo utilizzo di flashback consentono di intrecciare un vero e proprio portfolio della fragile natura umana, delle sue preoccupazioni vane, delle sue paure ed ansie, quasi con la beffa caratteristica dell’annichilirsi post mortem. Basti pensare ai genitori di Marina e Tomas, i protagonisti de “Il Canto della Morte”, pronti ad ostacolare l’amore tra i due giovani per un “partito migliore”; o ancora, allo Zar di Russia ne “Il Cherubino”, spesso declassato al rango di normalissimo essere umano e chiamato con il suo nome proprio, terrorizzato dall’idea di perdere il suo potere per una rivolta popolare.

Le sensazioni, nelle quali è impossibile non immedesimarsi, finiscono per annullarsi nello scorrere mesto dell’acqua di fontana: la metafora ossimorica del decesso improvviso diventa familiare, e nella sua descrizione misticheggiante ed atemporale, finisce per diventare inequivocabile amica, presente tra le righe del romanzo e tra gli sguardi dei passanti.

Qualche personaggio impazzisce, altri lo accettano quasi di buon grado: così la Ciciriello descrive la nostra stessa esperienza di lettori.


Perché se la prospettiva dell’inevitabilità della Morte livellatrice finisce sempre, prima o poi, per spaventarci, non chiude le pagine del suo horror senza lasciarci con il fiato sospeso. Il doppio vita/morte, la metafora dell’acqua fonte di vita come chiave di lettura dell’oscurità, segue una morale meravigliosa: se tutto è destinato a finire, il per sempre è nella sua breve esistenza. Mentre i personaggi cui ci si affeziona cadono uno per volta, le loro storie ci restano impresse in ogni secondo; i loro nomi risuonano distratti nelle azioni quotidiane, nello scrivere un racconto, nello scegliere di sposare una donna che si ama oppure non curarsi dell’egoistica ambizione. Prima della Morte, prima di cadere nel nulla della Sorgente, si riesce a sentire il suo scorrere tra due rocce strette. Prima di spirare, ci sono un’infinità di secondi che il tempo, veloce, sembra rubare. Seneca diceva: “l’ultimo istante non produce da sé la morte; termina solo un percorso cui noi da tempo siamo avviati”.



Così il libro si chiude con più domande di prima, ma con la sensazione di aver concluso la storia, di aver trovato la Sorgente.

In fondo, la vita, funziona un po’ così.




 

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