LA SPOSA
Nuda.
Ti guardi allo specchio.
Respiri, tanto, ancora per poco.
Osservi minuziosamente il tuo corpo,
fatto di carne ed ossa,
di bellezza e imperfezioni,
come se bello fosse sinonimo di perfetto,
ma perfetto lo è di anumanità.
Ti guardi, sei ancora in tempo,
non hai ancora il bel vestito,
i guanti di pizzo che ti faranno signora, anzi,
i guanti che il tuo Signore ti dona
per strapparti via dal tuo destino da puttana,
perché ti vuole bene, perché gli servi.
Non hai ancora la cipria per coprire i lividi
e il rossetto le labbra, strappate e ricucite per non essere ascoltate.
Non hai ancora le cicatrici,
bruciature di sigaretta bianca e rossa,
quadro sfregiato da solchi e buchi
dal respiro corto e affannato.
Nessuno ha ancora sparato dalla bocca
petali di piombo per te,
non hanno ancora colpito il tuo vitreo viso,
dandoti occhi nuovi, bucati dall’omertà e dall’onore.
Non hanno ancora ricoperto di fango e carta sporca
i tuoi capelli blu cobalto,
lunghi, avvolgenti, ondeggianti,
che hanno in germe il sale della vita.
Non permettere che insabbino
la tua dignità e bellezza
con rifiuti, false promesse, le solite etichette,
“terra bedda e amara”, “terra di mafiosi”.
Ma lo sposalizio è già alle porte,
le parole degli uomini ti incantano, ti illudono,
e tu cadi nella loro rete, diventi carne da macello,
prigioniera delle scelte altrui, della dannata sorte.
Adesso è arrivato il tempo della rivolta:
le tue onde si liberano dal peccaminoso velo
fatto di plastica, sogni e speranze,
lo poggi sugli scogli, stremata, finalmente.
Lo poggi sugli scogli, perché vuoi ribellarti,
perché vuoi combattere la paura col coraggio.
Lo poggi sugli scogli perché vuoi gridarlo a tutti:
sono la sposa di me stessa, voi siete di passaggio.
Adriana Cinardo
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