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Immagine del redattoreIrene Mascia

La Sposa (di Adriana Cinardo)

LA SPOSA


Nuda.

Ti guardi allo specchio.

Respiri, tanto, ancora per poco.

Osservi minuziosamente il tuo corpo,

fatto di carne ed ossa,

di bellezza e imperfezioni,

come se bello fosse sinonimo di perfetto,

ma perfetto lo è di anumanità.

Ti guardi, sei ancora in tempo,

non hai ancora il bel vestito,

i guanti di pizzo che ti faranno signora, anzi,

i guanti che il tuo Signore ti dona

per strapparti via dal tuo destino da puttana,

perché ti vuole bene, perché gli servi.

Non hai ancora la cipria per coprire i lividi

e il rossetto le labbra, strappate e ricucite per non essere ascoltate.

Non hai ancora le cicatrici,

bruciature di sigaretta bianca e rossa,

quadro sfregiato da solchi e buchi

dal respiro corto e affannato.

Nessuno ha ancora sparato dalla bocca

petali di piombo per te,

non hanno ancora colpito il tuo vitreo viso,

dandoti occhi nuovi, bucati dall’omertà e dall’onore.

Non hanno ancora ricoperto di fango e carta sporca

i tuoi capelli blu cobalto,

lunghi, avvolgenti, ondeggianti,

che hanno in germe il sale della vita.

Non permettere che insabbino

la tua dignità e bellezza

con rifiuti, false promesse, le solite etichette,

“terra bedda e amara”, “terra di mafiosi”.

Ma lo sposalizio è già alle porte,

le parole degli uomini ti incantano, ti illudono,

e tu cadi nella loro rete, diventi carne da macello,

prigioniera delle scelte altrui, della dannata sorte.

Adesso è arrivato il tempo della rivolta:

le tue onde si liberano dal peccaminoso velo

fatto di plastica, sogni e speranze,

lo poggi sugli scogli, stremata, finalmente.

Lo poggi sugli scogli, perché vuoi ribellarti,

perché vuoi combattere la paura col coraggio.

Lo poggi sugli scogli perché vuoi gridarlo a tutti:

sono la sposa di me stessa, voi siete di passaggio.


Adriana Cinardo



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