Tw: suicidio, depressione.
[...]Dying
Is an art, like everything else.
I do it exceptionally well.
I do it so it feels like hell.
I do it so it feels real.
I guess you could say I’ve a call.[...]
[...]Morire
è un’arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale.
Io lo faccio che sembra l' inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho una vocazione[...]
Sylvia Plath -"Lady Lazarus"
Sylvia Plath: tra le tante poetesse dal destino triste, credo che lei sia quella a cui la storia ha reso meno giustizia. Spesso viene ricordata solo come quella poetessa nevrotica-bionda-e-bella, un po' superficiale, che ha scelto un modo molto bizzarro di morire: infilando la testa nel forno. Troppo spesso la figura di Sylvia Plath è sminuita, ridotta a quella di una ragazzina alla disperata ricerca dell'uomo perfetto che potesse colmare il vuoto lasciato dal padre morto prematuramente, che si è sposata troppo in fretta rovinandosi con le sue stesse mani e che, dopo il divorzio, si è tolta la vita per la disperazione. Io vi dico, invece, che leggendo i suoi diari si ha la possibilità non solo di fare luce su molte delle sue più oscure poesie, ma anche di conoscere una persona appassionata, brillante, molto acuta, di seguire passo per passo una guerra durissima alla ricerca della salvezza, e di comprendere la complessità che si cela dietro ad elementi della sua vita oggi banalizzati con ragionamenti sbrigativi di psicologia spicciola. Sylvia Plath era una appassionata di letteratura e di psicologia, una filosofa, una studentessa che sentiva la pressione accademica ma aveva comunque una fame insaziabile di sapere. La critica che non si ferma alla superficie riconosce nella raccolta "Lady Lazarus" il capolavoro della Plath, e nel componimento da cui questa prende il nome si tende ad individuare l'emblema della sua vita e della sua condizione psicologica. Io, personalmente, la trovo meravigliosa. Oggi qualcuno potrebbe dire che questa poesia "romanticizza il suicidio", in realtà ad una lettura appena un po' più attenta capiamo che l'intento della Plath è esattamente opposto. Lady Lazarus è il grido di solidarietà di una donna che si rende conto della propria forza e vuole ispirare gli altri ad emularla, non nella morte, bensì nella rinascita:
"[...]Dalla cenere io rinvengo
con le mie rosse chiome
e mangio uomini come aria di vento."
È superba, potente, consapevole di essere più forte della realtà, per quanto questa sia difficile. È impavida, feroce, sfida l'ignoto che si cela dietro la morte, perché sa che neanche la questa può fermarla. La poetessa racconta che ogni 10 anni si liberava della vecchia versione di sé stessa, di tutto il "ciarpame", come lo definisce lei stessa, che si accumulava nella sua anima, per rinascere pura, "perfetto lino ebraico", ma sempre identica a sé stessa. Era una trasformazione che le era necessaria, un istinto naturale, la prova che ha lottato con ogni mezzo per vivere. Lo so, può sembrare un paradosso parlare di rinascita partendo dalla poesia di una scrittrice passata alla storia per il modo in cui è morta, ma fidatevi, c'era molta più vita nelle poesie di Sylvia Plath di quanto la critica contemporanea volesse ammettere. Lady Lazarus è la storia di una lotta affannosa per la vita, è la dimostrazione di quanto possa essere forte l'istinto di sopravvivenza, anche quando il desiderio di morte fa capolino come una bandiera bianca tra le macerie di una battaglia, è il racconto di una guerra personale combattuta a colpi di astuzia e ispirazione. La Plath escogita le più disparate strategie per aggirare la sua depressione, fino a quando non capisce che, inconsciamente, aveva già trovato da tempo l’arma più efficace: rinascere. La sua mente aveva capito che annientarsi per poi reinventarsi significava disorientare la malattia, sottrarle pensieri a cui aggrapparsi, coglierla alla sprovvista reagendo ogni volta in modo inaspettato, uscire da quegli schemi entro i quali lei stessa si era educata ad agire. Oggi diremmo, in maniera molto sbrigativa, che la lungimirante poetessa aveva intuito che forzarsi ad uscire dalla propria “comfort zone” poteva essere un buon antidoto al suo malessere.
So cosa state pensando "Se è così perché alla fine ha deciso di togliersi la vita?" ed è qui che mi trovo costretta a svelarvi che sulla morte di Sylvia Plath si celano ancora oggi molte ombre. Ci sono, infatti, diversi elementi che farebbero pensare che l'intenzione della scrittrice non fosse quella di morire, ma solo di chiedere aiuto: sapeva che quella mattina sarebbe stata raggiunta da una ragazza che avrebbe dovuto aiutarla con i bambini (quindi confidava che sarebbe arrivata in tempo per salvarla?), aveva sigillato la stanza dei suoi due figli e ne aveva spalancato le finestre, aveva preparato loro la colazione e infine aveva lasciato un biglietto con scritto "Per favore chiamate il dottor Horder". Considerato anche che le ultime pagine dei suoi diari, quelle più prossime al momento della sua morte, sono state distrutte dal suo ex marito, Ted Hughes (dal quale aveva da poco divorziato), la morte della Plath è destinata a rimanere avvolta dal dubbio per sempre. C’è, tuttavia, una domanda che mi tormenta e che mi rende, purtroppo, molto scettica: nella poesia la Plath dice di essere “morta e rinata” per tre volte. Se questa tecnica ha funzionato per ben tre volte, dunque, cos’è che è andato storto alla fine? Cosa ha portato la poetessa americana alla morte? Cosa le ha impedito di “rinascere” una quarta volta? Ma soprattutto mi chiedo se nel mondo odierno esista ancora una speranza tanto forte da spingere anche chi questa speranza non la vede a perseverare con tale ostinazione nella vita. E’ un mondo in continua e profonda evoluzione, e in fondo il cambiamento non è, in ogni caso, una rinascita? Intere nazioni reimparano a vivere adattandosi a nuove condizioni come la guerra, la fame, la paura, adottando quella che può essere definita, con una parola di gran moda negli ultimi tempi, una straordinaria "resilienza". Il covid ci ha costretti tutti a rinascere, ma se ci pensate bene ogni nuova fase della vita individuale è una rinascita: anche il semplice passaggio dalle scuole elementari alle medie, dalle medie alle superiori e, infine dalle superiori alla vita “vera”, la vita degli adulti, questo mondo caotico e selvaggio nel quale veniamo brutalmente catapultati e, impreparati e smarriti, impariamo lentamente a vivere secondo nuovi codici, a conformarci, almeno apparentemente, al nuovo contesto in cui ci ritroviamo. Siamo costretti a scendere a compromessi con la vita e con il mondo. E se l’ostacolo che si è posto tra la Plath e la sua quarta rinascita fosse stato proprio il rifiuto del compromesso? I suoi diari sono carichi di un forte senso di ripudio nei confronti della mediocrità in ogni ambito della vita, dall’università all’amore, dovuto forse alla perdita del padre subíta in tenera età e vissuta dalla scrittrice come il primo grande copromesso al quale la vita l’aveva costretta.
Forse la morte è stata il suo modo di ribellarsi alla mediocrità, o forse l'ennesimo tentativo di non arrendersi al compromesso.
Forse.
Ciò che non sarà mai messo in dubbio è il talento e la grandezza di una poetessa che sentiva la vita con un'intensità superiore alla norma, che l'amava così tanto da rinascere sempre, per vivere più vite, e che vivrà in eterno attraverso la sua arte.
Ludovica Pisaturo
Semplicemente ME RA VI GLIO SA!!!