
27 gennaio 1945: le truppe sovietiche dell'Armata Rossa liberano il campo di concentramento di Auschwitz, scoprendo le atrocità che i soldati nazisti avevano compiuto sui deportati ebrei. Ad accoglierli la scritta "Arbeit Macht Frei", "Il lavoro rende liberi". Dalla vita forse. I soldati russi salvarono solo una parte dei prigionieri: qualche giorno prima i soldati si ritirarono e costrinsero molti degli ebrei rinchiusi a uscire dal campo e percorrere la cosiddetta "marcia della morte", in cui molti persero la vita poiché stremati dal freddo e dalla fame.



Prima della ritirata, i soldati distrussero molte delle prove che testimoniavano le atrocità impresse sui prigionieri; tuttavia, non fecero in tempo a distruggere i campi di sterminio, e ciò che è stato trovato lì dentro sconvolse il mondo intero.


La Shoah è una tragedia che, dopo ottant'anni, fa ancora sentire il suo urlo disperato. Il 27 gennaio 1945 è la data simbolica della libertà di un popolo, simbolica perché, ancora oggi, l'odio, la violenza, la sopraffazione, la sete di potere non sono ricordi lontani. Le atrocità del passato non sono state in grado di cancellare le atrocità del presente e del futuro.
Non ci restano altri strumenti che ricordare ciò che è stato fatto. Anche se siamo formiche in confronto ai potenti che governano il mondo, non dimenticare è dovere di tutti in quanto esseri umani e appartenenti alla stessa Terra.
Agnese Iapichello, studentessa del Liceo "Elio Vittorini" di Gela, settore linguistico, prende foglio e penna e scrive: scrive delle mamme della Shoah, costrette a vedere i propri bambini strappati via dalle loro braccia e portati in quelle della morte.
Scrive di queste donne che non sono poi così diverse da lei se non per l'appartenenza a un'etnia diversa e alla presenza, sul proprio corpo, dei segni della tragedia della Shoah, nascosti sotto a uno "striped pyjama", un pigiama a righe largo, sporco e logoro. Donne che hanno dimenticato cosa volesse dire esserlo, diventate brutalmente delle larve umane, impotenti di fronte alla crudeltà di esseri che, forse, non sono mai stati davvero umani.

In fields of ash

In fields of ash,
I saw you wearing THOSE striped pyjamas,
dirty and large on you.
FINALLY, after all this TIME IN HELL,
I admired a heavenly view.
You noticed me
you had a smile ON your face
in that place, my only grace.
I ran as fast as I could
to caress you,
but my hands were raw
you felt that too.
Suddenly I saw you,
my poor child,
torn away, I could do nothing
to let you stay.
Now I’M empty, insignificant,
A TATOO MY ONLY value.
From today a star has your name,
A FATE totally insane.
Agnese Iapichello, V AL
Traduzione
In mezzo ai campi di cenere
Vidi il tuo corpicino con indosso un pigiama a righe
Lercio, enorme.
Dopo tutto il tempo passato all’inferno,
Finalmente il paradiso davanti ai miei occhi.
Anche tu mi vedesti
E un sorriso spuntò sul tuo viso
Unica salvezza in quel posto per me.
Corsi quanto più veloce le mie forze permettessero
Per accarezzarti dopo tanto tempo
Ma le mie mani erano ruvide, non più delicate
Come una volta, c’era scritto sui tuoi occhi.
Improvvisamente ti vidi,
Povero figlio mio,
Trascinato a forza lontano da me, e io
Non potevo fare nulla per fermarti.
Adesso mi sento ancora più vuota, insignificante,
La mia persona si è ridotta a dei numeri marchiati sulla pelle.
Da oggi una stella avrà il tuo nome,
Portatore di un destino meschino e folle
Articolo a cura di Adriana Cinardo
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