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Immagine del redattoreIrene Mascia

Poesie Emergenti: Lepanto di Giuseppe Riccardo

LEPANTO

Un fragore subitaneo

precide la quietudine,

squarcia il Mediterraneo,

la tua solitudine ti calpesta,

una balestra falcia una testa,

è tempesta nelle tue iridi angustiate,

le mareggiate ribaltan le galere,

la flotta lotta con la notte

che annienta le schiere.

Ondeggiano sussultanti

le bandiere penzolanti sul maestro

sventrate dal funesto vento

di maestrale, nella pupilla non traspare

alcun lampo, soltanto bombe,

un’ecatombe come Lepanto

t’ha affranto...

Giuseppe Riccardo



Due parole dell’autore

Il mio nome è Giuseppe Riccardo, ho 22 anni, sono un poeta inedito, studio presso la facoltà di Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e vivo a Giugliano in Campania.

Il componimento è ispirato alla battaglia di Lepanto (1571), avvenimento che si intreccia con esperienze personali e collettive nella contemporaneità.

La musicalità del testo, ricco di rime esterne e interne, allitterazioni e assonanze, vuole enfatizzare la percezione del disagio durante la battaglia.

Tuttavia la poesia non segue uno schema metrico preciso.


 

“La poesia non segue uno schema metrico preciso”, dice Giuseppe Riccardo parlando delle sue parole. Eppure, leggendole, sembra comunque che siano esattamente dove devono essere.

Il ritmo si snoda in un’enumerazione calzante, perfino le virgole tengono il passo alla lettura; ma l’immagine che ne esce non è consolatrice, né tantomeno affranta, è solo il riflesso di un disagio. Perché la battaglia di Lepanto viene descritta attraverso lo sguardo di chi l’ha vista; iridi angustiate, pupille che leggono un’ecatombe, occhi che nel 1571 non sono diversi da quelli degli uomini di oggi. Ed è così, con un elemento all’apparenza banale, che ci si ritrova catapultati nel presente; lo stare male non deriva più dalla battaglia di Lepanto stesso, ma da una catastrofe come Lepanto. Così una vicenda storica diventa universale, cerniera tra epoche, riferimento che si riassume in uno sguardo. E la poesia, che si serve della metrica ma non ne ha davvero sempre bisogno, fotografa per sempre quest’immortalità.

Irene Mascia




 

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