Potessi aver diritto
sull’immagine del mio
Paradiso Terrestre
lo crederei limpido
a gambe incrociate,
tra le nostre bocche umide
a ridere delle lenzuola
nelle notti d’estate.
Ne cucirei frammenti
nella casa adorna di specchi
in cui possa vederti,
per evenienza discreta
dei miei privilegi,
in protezione del beneficio
dalla dannata possibilità
di aver perduto la fede.
Emanuela Calì
Biografia
Mi chiamo Emanuela Calì, scrivo da quando ho ricordo, un po' in prosa, un po' seguendo la musica dei versi, un po' lasciando appunti sparsi. Ho pubblicato una raccolta di poesie lo scorso anno, ho provato a metterci dentro tutto quello che non so spiegare seguendo l'ordine temporale delle mie metamorfosi. È il modo che ho di sentirmi libera e non riconoscermi, rileggendomi.
L'immagine l'ho scelta io. È un modo che ho di leggere le poesie degli altri, di sentirle mie; d'altra parte, se c'è una cosa che amo dire è che chi scrive è condannato a disegnare solo nella mente degli altri. E il disegno di Emanuela Calì non poteva che avere un altro colore: il bianco. Non il bianco di distese infinite o di un candido abito da damigella, ma il bianco del lenzuolo quando si piega distratto. Quando le ombre lo fanno diventare qualsiasi cosa. Quel bianco.
Forse descrivere l'immagine che ho scelto è per me più semplice che descrivere quelle che ha scelto lei: una preghiera laica curata in ogni parola, dall'inequivocabilità del diritto giocato sull'ausiliare e il verbo potessi avere, il Paradiso Terrestre lasciato solo in un verso che non specifica i suoi legami sintattici, le lenzuola che hanno spinto la mia scelta contornate dal verbo cucire, pochi versi più tardi, che però non vi si riferisce. Il messaggio non è scontato: l'autrice vuole una casa di specchi in cui possa vederti, ma il suo referente è a stento tratteggiato in uno specchio che - si sa - per definizione riflette solo se stessi.
Le pieghe del lenzuolo sono le ombre, le nostre bocche umide, gli specchi; sono anche la chiusa instabile della preghiera, di nuovo la possibilità - non più di aver diritto, ma di perdere la fede. Una possibilità che è dannata, in intercalare e ad litteram, senza spiegazioni.
L'immagine l'ho scelta io, perché in alto a destra sembra esserci l'ombra di un piede. Una gamba, una persona. Perché viviamo di possibilità e di timori, perché vorremmo tutti noi avere il diritto di scegliere il nostro Paradiso e di dubitare talvolta che esista una cosa del genere; perché la fede è anche tatto, perché senza specchio ci scordiamo di cosa siamo fatti.
È più semplice per me descrivere l'immagine poiché Emanuela Calì me ne ha risvegliate in testa duecento diverse. In pochi versi mi sono convinta che la sua tavolozza abbia ancora altrettanti colori.
Irene Mascia
Se ti ho incuriosito, ricorda di seguire Emanuela Calì su Instagram ;)
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