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Re-imparare l’alfabeto con Marianna Ciano

Marianna Ciano esordisce in libreria con una raccolta poetica dalla struttura particolare che non può non attirare l'attenzione degli appassionati: L'AbBeCedario, edito Homo Scrivens, è una raccolta scompaginata e ordinata contemporaneamente, un libro delicato e personale quanto universale.




Leggere l'AbBeCedario è aprirsi le porte a un'esperienza che non necessita di essere convenzionale, grazie anche a un lavoro di cura e impaginazione che non lascia indifferenti; attraverso l'esperienza, quest'opera parte dall'infanzia dell'autrice, la oggettivizza, la universalizza, ma non si stacca mai dal senso più profondo dell'io, quello della bambina che imparava le lettere dell'alfabeto e che, con gli anni, ha imparato a restituire a ciascuna di queste lettere tutti i sensi più strettamente collegati a se stessa.


In sostanza, il libro di Marianna Ciano è un libro da vivere; ed è anche e soprattutto per coloro che in prima battuta avevo apparentemente escluso, cioè i non appassionati. In verità, tutt'altro: perché le scelte poetiche dell'autrice rendono l'operetta coinvolgente anche per chi non mastica poesia, con semplicità di lessico, scelta di abbandono della retorica convenzionale, perfino l'uso del dialetto.


Ma se fossi io a parlarne per l'interezza di questo spazio, forse farei perdere quel tocco di personalismo che credo in questo caso più che in altri sia assolutamente necessario. Ed è proprio per questo che ho voluto parlare direttamente con l'autrice.


(alcuni momenti dalla presentazione del 19 giugno a Villa Fernandes - Portici, nella quale ho avuto l'onore di prestare la voce alle poesie di Marianna)


Giacomo Leopardi, John Keats, Pierre de Ronsard, Eugenio Montale, Charles Baudelaire, Pablo Neruda, Emily Dickinson. Li indichi nella tua introduzione come i tuoi auctores, e in alcune poesie si leggono apertamente, a mio parere soprattutto Montale. A chi pensi di dovere il debito maggiore e perché?

Sono in debito con ciascuno di loro e anche con tanti che non ho citato, sento però di dovere ancora di più alle mie insegnanti di letteratura e al mio maestro delle elementari. Sono stati loro che hanno cercato in tutti i modi di trasmettermi l’amore per questa fantastica arte che è la poesia; a chi dice che per alcuni è incomprensibile io rispondo che non è così. Frequentavo la terza elementare, credo, il maestro ci fece leggere una piccola filastrocca dal sussidiario; l’ultima strofa recitava “Ho visto danzare sul mare tanti pezzetti di luna”. Non sapevo nulla di figure retoriche, di metrica e neppure di chi avesse scritto quei versi ma avevo davanti agli occhi quella immagine. Ecco il debito che ho con tutti questi poeti è di aver creato immagini e  ai miei insegnanti dico grazie di avermi dato gli strumenti che mi hanno aperto la mente e il cuore per comprendere.


Uno dei fili conduttori che tu stessa ammetti in questa raccolta è la riconnessione al mondo dell’infanzia, una scelta già presente nel titolo della silloge. Raccontandoti, definisci i tuoi primi esercizi alfabetici come “scrittura cuneiforme”, collegandoti alla nascita stessa della scrittura. C’è una volontà di associare l’evoluzione della tua scrittura anche a quella del tuo e di tutti mondo? E in questa prospettiva, che valore dai alla scelta della struttura in “abbecedario”?


La scrittura è un’invenzione affascinante che ha rivoluzionato la vita dell’uomo e che, se ci pensi bene, è una forma di comunicazione che usiamo solo noi. Abbiamo potuto consegnare all’eternità tutto ciò che abbiamo scoperto nei secoli e che ancora scopriremo in futuro, ma anche le nostre sensazioni, la nostra storia; se scrivi sei in qualche modo immortale. Certamente quello che ha scritto Seneca è storia da millenni e con il suo pensiero sono arrivati a noi persone di cui senza il suo contributo non avremmo mai conosciuto neppure il nome. La scelta della struttura della mia silloge è legata alle lettere che sono la base attraverso la quale ognuno di noi ha imparato a mettere insieme le parole e poi i discorsi. Le prime tre lettere che formano queste parole a me care sono il fulcro del alfabeto delle esperienze che fin ora mi hanno accompagnata ed aiutata a diventare quella che sono. Ogni bambino quando inizia a scrivere le prime lettere è soddisfatto del suo piccolo capolavoro, è solo un punto di partenza che lo porterà lontano.


Uno dei punti forti di questo gioiellino è il rifiuto di metrica e di convenzionalità scolastica, che non si traduce in una “non-poesia” ma in una scelta stilistica ancora più raffinata. In particolare, la struttura portante stessa della raccolta non è di un canzoniere, le poesie non sono in ordine cronologico. Questo lascia una splendida libertà di lettura: io ho immaginato tutto come un enorme puzzle a pezzi sparsi, una storia, che è la tua storia, raccontata per temi. Qual è l’ordine in cui invece tu leggi il tuo stesso libro?


La poesia deve essere libera sia per chi la scrive che per chi la legge, apri il testo a caso ad una pagina qualunque e con quelle  parole vola altrove, non sentirti legato. Cerca quello che tu ci vuoi trovare, è il tuo scomporre e ricomporre; se succede questa cosa si è riusciti nell’intento di emozionare e allora la poesia è una buona poesia.


Le poesie in napoletano sono un tocco di classe, ma anche (e soprattutto) di familiarità, di calore, di affetto. Ci parli un po’ di questa scelta linguistica così intima?


Ci sono argomenti che necessitano del dialetto e sono quelli in cui tu parli nel modo più intimo a chi sai che sa ascoltarti e capirti. Se vuoi davvero cogliere l’essenza di una persona sentila quando si esprime se è arrabbiato, tutti noi utilizziamo il vernacolo quando non riusciamo a controllarci, quando c’è qualcosa di viscerale da dire. La scelta linguistica, in questo caso, è intima e senza freni.


La prima presentazione della raccolta.

Se continuassi l’alfabeto, quale sarebbe la tua “D”?


DADO perché la vita è fatta di mille incognite e ci sono cose che non puoi programmare o che credi di poter governare, invece non è per niente così! Questo continuo susseguirsi di eventi ci aiutano a scoprire chi siamo realmente e come affrontiamo la faccia del dado che ci è capitata. La mia lettera D sarebbe questa: quello che ti capita quando tiri il DADO e come te la sbrighi tu.


A quale poesia sei più legata? E perché?


Inutile dirti che sono legata a tutte le mie poesie e che quando le rileggo conosco esattamente la sensazione che mi ha accompagnata quando sono nate. Era una serata autunnale, avevo avuto una pessima giornata, erano tutte brutte le giornate vissute in ospedale con mia madre. Non c’erano mai buone notizie. Sul terrazzo stendevo il bucato, mi anticipavo sempre delle cose e c’erano i primi venti freschi, quelli che ti raccontano che le vacanze stanno finendo. Ho guardato la città e ho sentito nell’aria il suo profumo, è un rituale che negli ultimi cinque anni si ripete anche se il mio cuore sa che lei non è più in quella stanza di ospedale. Quella sera è nata Le prime notti.


Nelle riflessioni finali, spieghi di esserti portata dietro, durante la crescita, due aggettivi: “alta” e “caparbia”. Le donne che sono alte e che magari sono anche caparbie hanno sempre alle spalle una società pronta a farglielo notare: e tu esponi questi due moniti con fierezza, come solo una donna “alta e caparbia” potrebbe fare. Questo orgoglio si legge benissimo in uno dei fili rossi della tua vicenda poetica: l’amore, la sensualità, la femminilità, che si inserisce comunque nella tua persona attiva, legata a battaglie importanti come l’ambientalismo. Che messaggio daresti a tutte le altre donne “alte e caparbie”?


Direi a loro, come l’ho ripetuto spesso anche a me stessa, di dare pochissima importanza all’uniformarsi all’opinione comune del cosa possa piacere o non piacere alla società, piuttosto di concentrarsi del piacersi quando ci si guarda allo specchio. Il giudice più severo che incontriamo nella nostra vita è la nostra coscienza e se non ci vai d’accordo quello sì che è un problema grosso. E aggiungo, oggi la maggior parte dei giudizi vengono da persone che non leggono fino in fondo nulla: giudicano film dalle recensioni di altri senza averli visti, giudicano persone dalle loro foto sui social e ancor peggio giudicano la vita e le storie altrui leggendo il solo titolo in copertina senza mostrare alcuna empatia. Quindi non vedo come tale giudizio possa influenzare la mia o la vita di qualsiasi donna “alta e caparbia”.


Hai progetti “poetici” per il futuro?


Vorrei in primis far conoscere L’AbBeCedario  ancora a tante altre persone, portarlo in giro per il mondo il più possibile. Spero che in futuro non mi manchi mai la voglia e l’ispirazione per scrivere e se fosse possibile vorrei essere più amica del tempo. Ho una storia in mente, ad essere sincera le storie sono tre.


Grazie per essere stata con noi!


Grazie a te Irene per queste belle domande cosi stimolanti.


 

Per acquistare il libro di Marianna Ciano, clicca qui: L’ABBECEDARIO - Marianna Ciano | Homo Scrivens


Altri lavori con Marianna ci attendono. Se siete curiosi, vi consiglio di seguirci sulle nostre pagine social: qualcosa si sta muovendo...

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