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Tempesta del Pensiero: Siamo vivI

Aggiornamento: 26 nov 2023

Ciao a tutt* 😊

Mi presento: sono Maria Romanelli, e quello che state per leggere è l’articolo che aprirà la mia rubrica "Tempesta del Pensiero": spazio di riflessione su temi di attualità prendendo spunto da un'opera d'arte, all’interno del blog Momenti DiVersi.

Questo mese, vorrei dedicare il mio articolo al meraviglioso romanzo “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, il quale mi è rimasto profondamente impresso nella memoria, perché anno dopo anno, ogni volta che lo rileggo, scopro un particolare nuovo che prima non avevo notato: è una lettura piacevole, ma che ogni volta mi lascia sconcertata, perché risulta essere incredibilmente attuale, sebbene il tempo passi.

Quindi, “Un giorno questo dolore ti sarà utile” è un romanzo di formazione scritto nel 2007 da Peter Cameron. Nelle sue pagine è costudita la storia di un ragazzo che si chiama James Dunfour Sveck, il quale si racconta in prima persona.

Peter Cameron descrive, attraverso la voce narrante di James, l’incoerenza e la superficialità che caratterizzano la società moderna, la quale preferisce nascondere, dietro una cortina di false apparenze, un vuoto soffocante che porta con sé frustrazione e desolazione.

Nel corso della narrazione, la prosa sarcastica di Cameron fa nascere sul volto dei lettori tanti sorrisi amari, ed evoca un sentimento di malinconia quando si realizza che il mondo in cui viviamo è costantemente alla rincorsa di beni futili e banali, che impoveriscono il portafoglio e non arricchiscono l’animo.

James è un ragazzo come tanti, il quale vive a New York insieme alla sorella (donna opportunista e superficiale) e alla madre (la quale si nasconde dietro un impiego effimero ed inconcludente, sperando di apparire impegnata ed intellettuale).

I suoi genitori sono divorziati, quindi James passa le sue giornate quando con la madre, quando con il padre (un eterno Peter Pan, che non si fa scrupoli a frequentare donne più giovani di lui, ricorrendo alla chirurgia estetica per eliminare i difetti che l’età disegna sul volto, come le borse sotto gli occhi).


 

Questi personaggi rappresentano il modo di pensare e agire della nostra società, nella quale i più vivono senza porsi troppi perché, mentre alcuni, come James, non riescono ad adeguarsi alle circostanze e quindi vorrebbero estraniarsi dalla società, dalla quale sono già stati esiliati. Questi ultimi vorrebbero avere “di più” dalla vita, e questo “di più” è rappresentato dalla possibilità di liberarsi dalle catene invisibili con cui le convenzioni sociali imprigionano ciascun individuo.

James è un vero disadattato, che non ha né amici né fidanzat*, che non si sente a suo agio con i coetanei, perché in loro presenza si sente soffocare, impossibilitato a vomitare il proprio malessere, morendo dentro ogni qual volta viene costretto a partecipare alla vita sociale, perché prova sofferenza nel rendersi conto che, quando tenta di muovere un passo verso gli altri, una linea invisibile, eppure massiccia, demarca un confine netto fra lui e il mondo, impedendogli di intrecciare rapporti amicali.

L’insuccesso riscosso costantemente nel tentativo di interagire con gli altri esseri umani porta James a chiudersi in se stesso, a perdere fiducia in sé e nel genere umano, il quale non accetta la sua sensibilità.

Le uniche persone a cui apre il suo cuore sono la nonna, persona stravagante, fuori dagli schemi, che vive un’esistenza ritirata; e la sua life coach, con la quale parla dei propri problemi, al fine di comprenderne le origini.

James soffre a causa della crudeltà caratteristica del mondo in cui vive, il quale è incapace di prendersi cura di se stesso e degli esseri viventi che lo abitano; e questi ultimi risultano essere estremamente egoisti, perché nella maggior parte dei casi si adoperano per rendere difficile la vita altrui, traendo gioia dalle disgrazie che capitano agli altri.

Dal momento che, come James, anche io mi sento in difficoltà ad instaurare rapporti con le altre persone, mi risulta semplice immedesimarmi nei suoi panni, e avverto la sua necessità di stare solo, perché James si sente se stesso soltanto quando è solo, visto che questa è l’unica occasione in cui non deve fingere di essere diverso da sé per compiacere gli altri.


 

La mia riflessione non vuole essere una rimostranza, oppure un elenco di “nomi” da incolpare per aver reso complicata e faticosa la vita quotidiana, bensì desidero esprimere il mio punto di vista sulla situazione attuale.

Oggi, tutti coloro che, come James, pensano con la propria testa ed esternano le loro perplessità e contrarietà di fronte ai paradossi e alle incoerenze tipiche dei “tempi moderni” sono considerati “asociali” e “sbagliati”; quando, secondo me, questo comportamento è genuino se messo a confronto con l’immatura attitudine di coloro che, per ignoranza o per pigrizia, preferiscono stare in silenzio e lasciare che gli altri decidano al posto loro.

Purtroppo, accettare qualsiasi imposizione in maniera passiva non è “democrazia”, perché affinché esista una democrazia, tutti devono avere il diritto di esprimere le proprie opinioni con educazione e rispetto nei confronti di coloro che possono pensarla diversamente, senza paura di essere esclusi dalla comunità. Sfortunatamente, non basta più aver allontanato una dittatura che faceva paura a suon di botte, perché nascondere la brama di potere e controllo assoluti dietro una facciata di falso perbenismo è sempre dittatura.

Parlando dei giorni nostri, ho assistito a dei fenomeni messi in atto dallo stesso genere umano, che dovrebbero indurlo a vergognarsi di se stesso. Con la sua smania di essere “speciale”, l’uomo ha rinnegato le sue radici, e allo stesso tempo ha smarrito la strada che avrebbe potuto portarlo verso il miglioramento della propria esistenza. Invece di studiare per comprendere meglio la natura, l’uomo ha deciso di arricchirsi sfruttandola e distruggendola, e poi ci si chiede il perché del cambiamento climatico.

Invece di essere solidale con i propri simili, gli uomini continuano ad escludere le donne dalle mansioni lavorative, e se due donne si ritrovano a concorrere per la stessa carica, queste non si aiutano, bensì si distruggono a vicenda in maniera subdola, lasciando che l’ambizione di essere considerate come gli uomini le divida. In questo modo, per gli uomini diventa più facile schiacciare i diritti delle donne che, invece di lottare insieme, si fanno la guerra tra loro per ottenere solo scherno dall’altro sesso.

Inoltre, ho visto compagni di scuola fare la spia per ingraziarsi un professore inventando che “Tizio” aveva proferito parole offensive contro tale docente. In questo modo, gli “studenti-polizia segreta” godono del fatto che il professore si arrabbi e si diverta ad infliggere punizioni ridicole all’alunno calunniato, senza essersi accertato che le affermazioni a lui riferite fossero veritiere.

Personalmente, ho assistito alla confessione di alcuni compagni di classe, i quali mi hanno rivelato che avrebbero voluto essere miei amici, ma che non avrebbero potuto sostenermi nelle mie prese di posizione, perché altrimenti sarebbero stati "bullizzati" dai prepotenti che "bullizzavano" me. Io continuo a soffrire, quando devo interagire con i miei coetanei, i quali, spesso, sebbene siano consci della mia presenza, fingono di non sentirmi parlare, e allora urlano sopra la mia voce per non ascoltare quello che vorrei dire, perché non accettano che io chiami le cose con il proprio nome, senza camuffare la cruda verità con inutili fronzoli; e perché non gradiscono che io preferisca affermare ciò che penso in faccia alle persone, nella speranza di risolvere eventuali controversie attraverso un’educata e pacifica comunicazione, evitando fraintendimenti, senza infamare la gente di nascosto, sui social; (mentre questo è l’atteggiamento prediletto dalla maggioranza, peccato che sia una perdita di tempo perché rafforza l’inimicizia, e non permette di risolvere i problemi).

Ho visto professori, frustrati e delusi dalla vita, che hanno mortificato gli alunni “più deboli” della classe, scaricando su di loro la rabbia provata verso se stessi per non essersi realizzati; mentre altri ancora, ipocriti e menefreghisti, mi hanno rivelato che “non potevano difendermi dai bulli che mi facevano soffrire, perché a quel punto avrebbero dovuto correggere il comportamento dei despoti stessi, e questi avrebbero patito le mie stesse pene, in quanto i rimproveri degli insegnanti avrebbero rischiato di tarpare le ali alla naturale cattiveria dei bulli.”

Tutto questo è assurdo, e continuano a succedersi tante altre cose assurde che alcune persone non comprendono, e quindi si disperano perché non riescono a capire il motivo per il quale, oggi, il mondo vada all’incontrario: invece di apprezzare l’onestà e la sincerità, la maggioranza preferisce essere ipocrita, e circondarsi di gente ipocrita.


 

Secondo me, l’unica spiegazione plausibile a tale fenomeno è che il singolo individuo, guardandosi attorno, pensa: “la maggior parte delle persone fa schifo, e non è osteggiata, quindi, perché io devo faticare per essere diverso, se oggi lo schifo va di moda e permette di raggiungere il successo?”

Il problema è che qualcuno, dall’alto, ha lasciato che i più credessero di facilitarsi la vita, se avessero accettato di vivere nel degrado che l’ignoranza porta con sé. E la generazione che si è lasciata defraudare della sicurezza, salute, felicità e libertà per qualche spicciolo è cresciuta, ed ha avuto dei figli sui quali ricadono i problemi e i disagi causati da adulti inetti e incapaci di assumersi le proprie responsabilità.

Così, oggi sono i giovani a vedersi calpestato il diritto di sbagliare dagli adulti che, in cambio di un misero stipendio e poca considerazione, istigano i ragazzi a diventare dei lecchini, facendo nascere delle lotte inutili fra i coetanei che non riescono a far fronte comune per riprendersi i propri sogni, facendosi schiacciare dai meschini dei “piani alti”, i quali non hanno realizzato i propri obiettivi, e per questo motivo sono decisi a non volere che altri abbiano successo dove loro hanno fallito.

L’ironia della sorte vuole che sia i bulli che i disadattati presi di mira abbiano paura di vivere, perché entrambi si struggono a causa della perdita di felicità, la quale viene loro ripetutamente negata da qualcuno molto più scontento, che si illude di stare bene guardando gli altri soffrire.

A meno che i bulli e le vittime non si confrontino civilmente attraverso un dialogo costruttivo, non potranno mai capire che provano un disagio comune; e invece di instaurare empatia, continueranno a giudicarsi senza conoscersi, odiandosi a vicenda sempre di più, perché è facile abbandonarsi alle apparenze e concentrare tutte le energie in un unico sentimento negativo come l’intolleranza.

A questo punto chi ha ragione: il prepotente che attacca perché ha paura di essere attaccato, il quale dà del fallito alla sua vittima sperando che questa non scopra che il bullo è il vero fallito; oppure l’asociale, il quale è mosso da sentimenti di apatia e disgusto, e quindi si rintana dentro se stesso perché ha paura di essere ripetutamente deluso e discriminato?


 

Sarebbe meraviglioso se ognuno di noi avesse il tempo di ascoltarsi e ascoltare gli altri, così da trovare il posto giusto nel mondo, senza rubare o vedersi portare via le risorse necessarie al proprio sostentamento, diventando un ingranaggio di un organismo perfetto dove tutti fanno la propria parte, per migliorare la vita degli altri e per apprezzare gli aiuti ricevuti.

Invece, oggi, tutti devono saper fare tutto, imparando a memoria mille nozioni alla volta senza metterle in pratica realizzando progetti concreti.

Siamo trottole che hanno subìto il lavaggio del cervello e che non sanno più discernere il vero dal falso, costantemente in ritardo, e sebbene non si siano raggiunti progressi, il tempo è volato via, i problemi si sono moltiplicati, e si è troppo stanchi e disillusi per cercare alternative.

Io credo fermamente che esistano persone che riescono ad estraniarsi dall’ansiosa e folle corsa verso l’irraggiungibile in cui la società ci spinge con la forza, che non ricorrono all’alcol o alle droghe per sentirsi vivi o per farsi accettare dai loro “amici”, in quanto hanno avuto la chance di unirsi a persone capaci di ascoltarsi e di rispettarsi reciprocamente.

Purtroppo, al mondo non esistono persone perfette che riescano a portare avanti tanti obiettivi in maniera egregia, a meno che non vogliano vantarsi come fossero prime donne e sbattere i loro successi in faccia agli altri, attraverso i social, per concimare lo stecco appassito di autostima che possiedono.

Allora io mi domando: “non sarebbe più facile accettarsi per quelli che si è, con i propri limiti e le proprie qualità, evitando di pensare sempre e solo a se stessi, senza desiderare di richiamare costantemente l’attenzione altrui attraverso la macchinazione di una sceneggiata, e senza sperare che la gente si faccia abbindolare dalle apparenze?”

“E allora perché vivere in funzione di creare post per far nascere invidia nei cuori altrui? E perché alcuni ci cascano, e finiscono per invidiare un mito che non esiste?”

Perché, in questo clima di violenza mediatica, le due fazioni non sanno che sono accomunate dal medesimo senso di vuoto e frustrazione, creato dalla mancanza, nella propria vita, di autentico affetto disinteressato.

Comunque, in conclusione, come dice la nonna di James, “siamo vivi”. Significa che, sebbene ci sia sempre qualcuno più potente che impone le sue regole capricciose ai sottoposti, impedendo spesso di cambiare le cose per migliorarle, ogni uomo e ogni donna ha la possibilità di godersi i momenti felici, scegliendo di diventare una persona migliore imparando a considerare i momenti brutti come fossero doni, decidendo di maturare per non infliggere sugli altri le sofferenze subìte.


 

Così ognuno va avanti per la sua strada, dritta o piena di curve che sia.

Purtroppo, non è facile fare un passo indietro e guardare le cose da un diverso punto di vista; tuttavia, prima o poi, auspico che ci si renda conto che non è corretto imporsi prepotentemente sugli altri, oppure disinteressarsi completamente della vita, sebbene non sia facile.

E alla fine, vi lascio con la speranza che, tutti coloro che credono di essere indispensabile per l’universo, un giorno, si rendano conto che il loro “Io” non è niente di speciale, a meno che non abbiano tratto insegnamenti dal dolore vissuto, per diventare attivi nell’impedire che ulteriore violenza inutile dilaghi nel mondo.


Maria Romanelli

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