“Ad una città come Napoli non fa paura niente. Di cosa può spaventarsi un popolo che vive alle pendici di un vulcano attivo?”
Il Vesuvio non è solo il vulcano attivo del paesaggio napoletano, è qualcosa di più; è la rappresentazione stessa della napoletanità, il perfetto connubio tra l’impeto della bellezza e la sua massacrante grandiosità. Un padrone che capeggia sulla zona in modo quasi statico, come Warhol lo definirà, non un mito, ma una cosa terribilmente reale.
Non è un caso che grandi artisti come lo stesso Warhol o altri, scavando più lontano nel tempo, abbiano scelto di immortalarlo, soprattutto nel momento fatale dell’eruzione. Basta pensare al dipinto di Joseph Turner, pittore romantico, che con eleganza e armonia immortala per sempre una scena che al tempo stesso sa di immenso e di catastrofico, un momento che chiunque assapori appieno finisce per non avere abbastanza tempo per ricordarsene.

Sembra di assistere ad una moderna scena di fuochi d’artificio: la lava inonda ogni angolo di luce, armonizzando il complesso con i suoi violenti colori. I punti di luce del fuoco si alternano con istanti di buio, amplificati anche da un fumo scuro quasi mistico; il grande vulcano, che occupa il centro della scena, si riflette nel mare che ben rispecchia l’intera eruzione. Il tutto ha i toni grandiosi di una magnifica apocalisse, ma che trova contrasto nell’atteggiamento degli spettatori, nella parte bassa del quadro: rassegnati, quasi calmi, assistono allo spettacolo, assaporando ogni secondo della bellissima visuale che porteranno con loro nella tomba.
Questo si inserisce nel contesto del Romanticismo, movimento culturale dell’ ‘800 che vede la natura protagonista dell’arte, seppur non in modo statico; come il poeta inglese Wordsworth sottolineava nelle sue liriche, la natura e l’uomo vivono insieme, in modo complementare, e l’una senza l’altro sembrerebbe avere un pezzo mancante. Durante il secolo Romantico, in pittura, vi erano due atteggiamenti nei riguardi della natura: pittoresco e sublime. Se il Pittoresco cercava l’armonia nei dettagli imperfetti rappresentando una natura madre ed in linea con l’uomo, il Sublime, pur concordando nella complementarietà degli ambiti, dipinge la natura come matrigna all’umanità, e si traduce nella rappresentazione di scene tetre, cupe, ma grandiose, volte a sottolineare la piccolezza dell’uomo davanti all’immensità del mondo in cui vive. E quale migliore espressione artistica può meglio sintetizzare questo concetto di un vulcano attivo che ogni giorno si specchia nel mare più bello del mondo?
Ed è con questa premessa che possiamo fare una riflessione: nel dipinto di Turner non capiamo nemmeno se sia giorno o notte, ma d’altronde che importanza ha? La natura non ha un calendario, né tantomeno un orologio; divampa, e lo fa senza preavviso, trascinando con sé tutto ciò che ha generato. Quant’anche l’uomo avesse un ruolo nella sua evoluzione, egli sarebbe senz’altro a margine, confinato verso il fondo del quadro, inerme di fronte al suo destino, ma anche estasiato innanzi all’esplosione che lo renderà polvere- polvere che tutti, prima o poi, siamo destinati a diventare.
Nemmeno Andy Warhol, nel suo Vesuvius, ci lascia capire che ora sia, e non lo si capisce in nessuna delle sue 18 rappresentazioni, tutte parti della stessa serie. Ma prima di azzardare confronti, sarebbe bene analizzare il diverso contesto dell’artista.
Warhol è considerato tra i maggiori esponenti della pop art, abbreviazione di popular art, nel senso di “arte popolare” perché destinata al pubblico, alle masse. Se nel secolo del Romanticismo, infatti, la riflessione culturale era legata anche a temi politici ed intellettuali e restava espressione di un gruppo ristretto di persone, gli anni ’60, cornice ed ispirazione della pop art, vedono un mondo che ha rivoluzionato lo stesso concetto di distribuzione sociale presentando un pianeta che, gradualmente, arrivava a convertirsi in un solo paese.

Dunque, il destinatario di quest’arte è una società di massa sempre più generica, e gli oggetti raffigurati altro non sono che gli stessi simboli del consumismo e della globalizzazione. Warhol, in particolare, era celebre in quanto riusciva a staccare la cosiddetta “auralità” dai soggetti artistici, reputati unici, per riprodurli in serie, esattamente seguendo le regole del consumismo globalizzato.
Dunque, parliamo di tutt’altro contesto e tutt’altro intento: il Vesuvio, la cara terra sacra ai napoletani, passa dal simbolo della natura bella e dirompente all’immagine in serie riprodotta per 18 volte. Perde la sua miticità e diventa realtà, mettendo anche i napoletani in guardia da un’eventuale eruzione, sicuramente disastrosa, e sottolineando, forse con ammirazione, il coraggio della gente che lì vi abita, quasi noncurante. Non era la prima volta che l’artista si confrontava con queste tematiche nell’ambito campano: già si era reso celebre per la sua opera Fate Presto, dedicata al terribile terremoto dell’Irpinia.

Ad oggi, il più celebre tra i dipinti della serie Vesuvius resta un’icona della città, usato anche da testate giornalistiche e case editrici come loro simbolo. Insomma, un’altra prova che ai napoletani il Vesuvio piace, e, come i piccoli uomini rappresentati nel dipinto di Turner, continueranno a vivere alle sue pendici, felici, come suggeriscono i colori di Warhol.
Ma d’altronde il Vesuvio è l’immagine stessa della zona; il simbolo della distruzione e della rinascita, la casa della Ginestra leopardiana, metafora di speranza in una vita di pessimismo; il trono di una misticità che forse esiste, un sovrano buono ma spietato. Ed anche se gli anni passeranno, difficilmente un forestiero capirà il senso di appartenenza che Napoli ha con il mostro che potrebbe spazzarla via; nel frattempo, però, ammaliato da questa storia d’amore impossibile, si getterà sulla consapevolezza di poterne trarre arte, che da sempre è il modo migliore per spiegare l’inspiegabile.
Come Napoli e il suo vulcano
Io ti amo
Ma tu un giorno
-E già facesti tremar la terra
Mi spazzerai via
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