Saltati gli Schemi
Sono magari un poco cresciuto
sono perfino un po’ maturato
so certamente che ho imparato
quando serve a restarmene muto
non importa la ruga d’espressione
l’adolescenza lesta mi assale
quando ritorno a questo canale
a me noto da fare impressione
che pur essendo una feritoia
che per l’acqua servirebbe da scolo
diventava preziosa scorciatoia
prima per noi e ora per me solo
Saltati gli schemi spacciati per veri,
spaccati gli specchi, spezzati gli schermi,
suonano male i sonetti
se non si bacia come prima neanche la rima
Verrà un giorno in cui non ci crederò
e cercherò prova di quanto provato
ma per ora ancora restare separati
è come essere mai nati,
una domenica in fabbrica,
bere una tanica di soda caustica,
Cuba senza Castro,
una caduta senza casco,
quasi un olocausto
pensando alla banalità del ma
se stavamo bene insieme
ma non sai se ti conviene
ma non sai se ti fa male
ma non sai se poi è normale
ma non sai se si confà
Ma non è questo ‘l giorno, e ‘l mese, e l’anno
ergo solo e pensoso vado tornando
a questo trauma nella trama del muro
dove quando piove
le scure, fiacche e amare acque passano
non riuscendo a trascinare
nel loro tutto scorrere
gli orridi detriti derelitti
di rimembranze a macchia di leopardo.
Paolo Palladino
Due parole dell’autore
"Saltati gli schemi" è una poesia che nasce dal disagio di ritornare in luoghi già percorsi, che siano essi fisici - come può esserlo una feritoia in un muro - o artistici, come le struttura del sonetto. Questo, omaggio petrarchesco come d'altronde lo sono le due poesie citate - una direttamente e una rovesciata - in coda, viene spezzato nel momento in cui ci si ritrova a fare i conti con una realtà sconfortante, come può esserlo, ad esempio, Cuba senza Castro.
La poesia è la trentaseiesima della raccolta "L'amore è uno stato d'alcol", edito da Edizioni Efesto nel 2021.
Paolo Palladino, nato a Roma, classe 1997, laureato in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi Roma Tre. Cofondatore e caporedattore del blog "La disillusione”.
La poesia del XXI secolo è una poesia che supera l’avanguardia, pur condividendone gli aspetti; è un’arte che vorrebbe tornare alla bellezza del sonetto, lamentandone però l’angustia. Paolo Palladino ha descritto, attraverso delle rime baciate che non baciano e un sonetto rivoluzionario, l’intera condizione del poeta contemporaneo, bloccato tra la maestosità del passato e l’ardente desiderio di scoprire il progresso, di scrivere una nuova pagina della storia; e mentre sta immobile tra questi due fiumi, descrive il mare in cui sfociano entrambi.
Ritorna a districare abilmente i pensieri della sua intera generazione, amplia la sua condizione per diventare portavoce dell’umanità, non esita, racconta, piega le parole al suo cospetto, si accosta alle chiare, fresche e dolci acque di Petrarca e le rende il suo mondo. E se sul finale la struttura rigida si incrina e l’illusione sembra spezzarsi, non lascia l’amaro in bocca; non è una crepa nella sua arte, ma la spaccatura che la rende visibile. Mentre la realtà si mostra nel suo sconforto (come può la certezza di un lavoro sconfinare in una domenica in fabbrica), la poesia, in qualsiasi suo aspetto, non smette mai di descriverla e di renderla meravigliosa. Così il poeta vince sempre... Qualsiasi realtà egli sia costretto a distruggere.
Irene Mascia
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