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PoesieEmergenti Juniores: Francesca Annunziata

Polvere, cenere

Rimasugli di uno schiaffo

Il corpo di una donna,

Di madre,

Di figlia.


Pene d'Eva, d'un odio gerarchico

Discendente del frutto proibito.


Macchina per prole,

Nata,

Ma senza scelta,

Figlia di barbarie.


Dolore del violento

Ripercuote

Mi percuote

Come se fossi

La sua sofferta insicurezza.


Urla, sputa veleno,

Grida di un posto oscuro

Che non risiede in nessun luogo

Se non dentro di lui.


Occhi spenti

Senza interruttore

Una vecchia riva dal mare calmo

Ormai arido.


Le sue braccia vecchia casa

I miei lividi il suo marchio.


Soffia via le lacrime

Cristalli

Pungono l'orgoglio

Non è mai affar suo


Bugie affogate sulle labbra

Imbevute di paura,

Smorte.


Mi rimproveri,

Sussurrando:

"'Sei mia"

"Ti amo"

"Ti odio"


Ma io non so chi sono

Ma sono

E non piccola

O insignificante


Tu sei perso e sei un pazzo

Divorato dall'ossessione

È finita, e lo dico io.


Francesca Annunziata

classe VA Scienze Umane

Liceo A. Diaz, Ottaviano (NA)



Leggere questa poesia fa piangere il cuore.

Sono versi bellissimi, forti, parole scelte nelle loro tonalità più aspre e intense, pronte a scavare nell'animo del lettore; questa poesia è un inno alla libertà, o per meglio dire, alla liberazione difficile da contesti di violenza, sopraffazione, potere, ed è in grado di raccontarla con tutto il dolore necessario di chi vive questo distacco. Lo racconta nel terzetto di versi "sei mia"/"ti amo"/"ti odio", l'oscillazione traumatica tra quegli estremi resa violenta dal poco romantico possessivo, che spiega, giustifica quel "marchio" che è "suo" rappresentato da lividi "miei", pochi versi più su. Quello che fa piangere il cuore, dopo l'innegabile sentimento di vuoto causato da parole così profonde, è il fatto che a scriverle sia stata una ragazza delle superiori. Francesca ha scritto questa poesia, con la quale ha vinto il concorso indetto dalla FIDAPA, mentre frequentava il quarto anno di liceo. Non è importante capire da dove abbia tratto l'ispirazione: è importante però che quell'ispirazione le sia venuta, magari leggendo un fatto di cronaca o ascoltando un racconto, e che abbia interiorizzato quel dolore sulle sue dita pronte a farlo rivivere a noi lettori attraverso la sua penna. Francesca, una donna giovane e già così adulta, ha colto il peccato originale dell'essere donna, ha capito che non ci sono mai stati frutti proibiti diversi dall'essere nata femmina; ha compreso la definizione "macchina per prole", sentendosi al centro del binomio del passato inevitabile della nascita in questa identità di genere e del futuro in dirittura d'arrivo che la società aspetta di legare al nome di "madre".

E il dolore di questa vicenda, il compianto per le nostre sorelle uccise e per tutte le violenze di cui talvolta non si sa proprio nulla, è qualcosa che, da donne, impariamo a capire molto presto.


Ma non è solo questo che mi ha colpito.

Quando avevo l'età di Francesca (non molti anni fa!) amavo dire che avevo giurato a me stessa di concludere "ogni poesia con un verso di speranza". Nel giro di pochi anni, in realtà, ho perso questa abitudine. Ma questo non ha importanza.

La conclusione della poesia di Francesca non è il dolore. Non sono i mali del mondo che escono dal vaso di Pandora, ma la speranza che ci resta dentro. La sua protagonista se ne va. Dopo tanti possessivi, chiude l'ultimo verso il pronome "io".


Io decido di andarmene. Io sono, non sarò mai meno di quello che dico di essere.

Nulla altro ha importanza.


Ho letto tutta questa poesia come un viaggio. Il viaggio inevitabile del dolore e della rabbia, il vicolo buio, l'ineluttabilità della violenza; ma così, all'improvviso, mi sono accorta che quel vicolo buio non era anche cieco.

A volte andarsene non basta. A volte non basta nemmeno dire "io". Sicuramente, però, se tutte noi dicessimo "io", se tutti noi, insieme, lottassimo per il cambiamento sin a partire dalle scuole, forse non ci sarà più il bisogno di parlare di polvere o cenere o labbra smorte.

Forse, con la difficoltà e il dolore della liberazione, la giovane, grande Francesca ci insegna che c'è una strada possibile.

E a quel punto vale la pena che anche io impari a finire le poesie.



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